cucchiaini

SENSILLI

per esplorare l'inesplorato

I sensilli sono i recettori posti sulle antenne dei coleotteri.
Ogni percezione e ogni orientamento li attraversano.

L’artista Devi Petti studia l’entomologiae fa interloquire le creazioni della serie Insectomania – orecchini, anelli, collane − con un luogo della natura spesso attraversato con disinteresse, superficialità, se non repulsione: il mondo degli insetti.

Con Sensilli si interagisce con lo sconosciuto, il nascosto, l’imprevedile:
una nuova sensibilità apre a nuovi mondi.

Nell’ultimo esperimento Sensilli, l’artista plasma quattro cucchiaini in argento, realizzati a mano con la tecnica della cera persa, ispirandosi ai testi che l’amica entomologa Sibilla – inventata come lo sono tutti i personaggi veri − ha scritto nel corso delle sue esplorazioni alla ricerca di coleotteri rari.

Kamčatka, Hà Giang, Queensland, Newfoundland… Con Sensilli cerchiamo una vibrazione in accordo con i sensi sopiti, simile al crepitio dell’argento che viene modellato, al quieto ticchettio dell’ultima pioggia monsonica.

Progetto realizzato per Lake Como Design Festival
esposto nella selezione di design contemporaneo curata da Giovanna Massoni

Ogni cucchiaino è ispirato ad uno dei coleotteri che Sibilla trovò durante i suoi viaggi:

Leucrocota Sumptuosa, o Magnifica delle sabbie
Polypodium Borametz
o Coleottero occhi d’avorio
Carabus eburneus, o Custode delle piogge
Brachysphaenus lancifer, o Lapillo dal collo corto

Rub’ al Khali, Il Quarto Vuoto

Perché una cosa risulti interessante, basta fissarla a lungo, scriveva Flaubert.
Cos’è per te un cucchiaino? Osserva il movimento autonomo della mano mentre mescoli lo zucchero al caffé. Non hai bisogno di vera concentrazione per compiere il gesto. E infatti i tuoi pensieri, mentre il cucchiaino ruota nella tazza, si sciolgono anch’essi nell’acqua.
Da dove viene quel cucchiaino? È sempre stato tuo? Si tratta di un dono?
Io ritorno sempre alla stessa immagine. Sibilla, nel salotto della sua casa rossa a Tangeri. Sfila il cucchiaino d’argento dall’astuccio in velluto, e con esatta lentezza mescola lo zucchero al té verde.
Osservo il movimento della mano, allora come adesso: mi basta chiudere gli occhi per vedere i tendini forti di Sibilla, precisi come un cesello; la mano che muoveva il cucchiaino nell’aria sottolineando i punti più importanti delle storie che la sua voce dispiegava intorno a noi. Raccontava viaggi.
Kamčatka, Hà Giang, Queensland, Newfoundland… È possibile vedere tutto, in una vita sola? Sibilla ci è andata molto vicina, all’Ovunque.
Quando se n’è andata, ho attraversato il mare e ho visitato la sua casa per un’ultima volta. Ho cercato il cucchiaino dappertutto. Non ce n’era traccia, come si fosse volatilizzato insieme a lei e a tutto quello che mi aveva raccontato stringendo l’argento del manico. Invece ho trovato, nel mobile da toilette, una serie di taccuini rilegati in pelle nera: disegni di coleotteri e accenni di colloqui.
Nel taccuino meno usurato, forse il più recente, Sibilla racconta del Quarto Vuoto, il deserto a sud della Penisola arabica. A voce mi aveva confidato − lo ricordo con buona approssimazione − che in quel luogo aveva cercato, nel segreto dell’immaginazione, fino a quali «poli dell’inaccessibilità» avrebbe potuto vagare la sua mente. Era attratta dall’anarchia del deserto non solo perché lì ogni norma poteva considerarsi sospesa, ma anche perché, in assenza di regole e di giudizi, l’idea stessa del sé perdeva importanza. Insomma: libertà assoluta.
Nei taccuini la storia viene ampliata, e lo scopo del viaggio diventa un incontro.

Il silenzio del Quarto Vuoto ha facilitato la ricerca. I coleotteri, quaggiù, li ho trovati grazie all’udito. È un luogo dove i suoni, distinti dal niente in cui deflagrano, non vengono solamente ascoltati: oltrepassano il timpano e, passando per cunicoli sconosciuti, si vanno a depositare in fondo alla bocca. Li ho ascoltati e li ho assaggiati. Sapevano, ovviamente, di sabbia. E i suoni da cui originavano − lo schiaffo di vento sulla deserto, il serpente che strisciava, l’oscillazione di una duna – si diffondevano con prepotenza nella bocca, ogni secondo più intensi, ogni minuto più amari. Ho tirato fuori il cucchiaino e l’ho usato per placarli: ci ho premuto contro la lingua, e le particelle di argento che si sono diffuse in bocca mi hanno permesso di riattivare il senso che mi guida nella ricerca.

È grazie al cucchiaino, si può dire, che l’ho trovato. Il coleottero mi ha chiamato con la sua vibrazione. Leucrocota Sumptuosa o Magnifica delle sabbie. Per raggiungerlo ho camminato per almeno cinquanta metri – mi chiedo come sia possibile, per un insetto così piccolo, farsi udire a una distanza del genere. Non si è mostrato affatto impaurito, ha raccolto le ali e, forse, mi ha rivolto uno sguardo d’interesse. Ho disegnato i suoi dettagli; carapace, zampe, antenne. Ho dimenticato il caldo del sole e la sabbia rovente. Allora ha parlato. E io, come faccio sempre, l’ho ascoltato.

La vibrazione è la lingua del mio popolo Chi non l’ascolta non conosce la potenza del canto; Angosce, sorprese, terrori, speranze La fluidità è nel segreto, nell’intimo potere

Sibilla cercava coleotteri, io cerco di ritrovare lei e la sua storia, e per farlo scolpisco ricordi nell’argento.
I manici dei cucchiaini sono le antenne: lì i coleotteri hanno i sensilli, i recettori sensibili che permettono loro di percepire il mondo e di orientarsi in esso.
Nella loro vibrazione minuscola cerco una lingua simile ai deserti e alle foreste, al vuoto e alla pace.

Il Quarto Vuotoè un progetto di Devi Petti in collaborazione con Jacopo La Forgia

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